SOLITUDINE MEDIATICA E CROCE

Solitudine mediatica e croce

Padre Fernando Taccone Passionista

Il tema è un approfondimento dello studio sul Getsemani. Il Getsemani di Gesù, come ogni Getsemani dell’uomo contemporaneo, evoca la notte, il silenzio, la solitudine, il dramma, ma anche l’opportunità della salvezza (cf. Mt 26,36-46; Mc 14,32-42; Lc 22,40-46). L’esperienza dell’uomo tecnologico sta creando un Getsemani digitale poiché genera zone di solitudine in famiglia e in società.
La solitudine mediatica è il fenomeno che è dentro la rivoluzione culturale della innovazione tecnologica ed è all’origine di profonde trasformazioni sociali con una nuova visione dell’uomo e della cultura. I social média sono semplici strumenti che possono aiutare la comunicazione, ma non possiedono per sé stessi la forza di realizzarla. Quando da semplici mezzi, diventano fini, l’uomo sperimenta la nausea esistenziale (Sartre) e la vanità di ogni cosa (Qo 1,1). Vengono così cambiate profondamente le relazioni umane divenendo molto spesso disumanizzanti.
Ricordo soltanto alcuni aspetti biblici inerenti alla relazione tra solitudine e croce.
Nella Scrittura, il tema della solitudine è collegato al motivo del “rigetto” da parte di Dio, in modo particolare nei libri profetici15. Dal momento che Dio, soprattutto nei Salmi, è presentato come Colui che risponde, ascolta, salva, vede, protegge, sostiene, interviene, allora emerge che Egli abbandona soltanto colui che lo abbandona ed anzi verso costui manifesta la sua collera16. Soprattutto Geremia mette particolarmente in luce il rapporto tra l’abbandono da parte di Dio con l’infedeltà del popolo all’alleanza17, ma si sottolinea anche che tale abbandono non è per sempre18.
In altri testi biblici l’abbandono è collegato al tema del “nascondimento” di Dio, ma esso è inteso positivamente come Presenza che si comunica nell’assenza, una presenza nascosta o “elusiva”. Metaforicamente si può dire, ad esempio, che Dio “tace”19, ma appunto come chi tace è presente, così è presente chi si nasconde. Il Dio d’Israele è un Dio che si rivela e si nasconde nello stesso tempo, che si rivela proprio nel suo nascondimento.
Ci sono invece altri testi nei quali l’abbandono e il nascondimento di Dio sono sperimentati da uomini giusti, come nel caso di Giobbe o del Servo sofferente di Is 52,13–53,12. In particolare, nel IV Canto del Servo di Jahvé siamo in presenza di un giusto che non soffre per i suoi peccati, ma per quelli del popolo. Anche nei libri sapienziali20, la persecuzione dell’uomo giusto fa dire agli stolti che Dio non esiste. In tali testi, la solitudine sperimentata dall’uomo giusto non significa necessariamente non-presenza di Dio, ma può significare anche nascondimento, realtà che è sempre momentanea.
In conseguenza di ciò, si possono rilevare due dimensioni fondamentali della solitudineː quella dell’amore e quella del dolore, intimamente connesse tra loro. Si ama, infatti, e si soffre da soli, anche quando non si è soli. La ricerca amorosa ama la solitudine, perché solo nella solitudine e

15 Cf. Is 41,8-20; Gr 30,11.17 …; –16 Cf. Dt 31,17. – 17 Cf. Is 2,6; 59,1-20; Gr 5,19; 7,15; 9,1; 14,19; 23,33.39; 33,19-26; Ez 8,12; 9,9; 29,3.5.9; 31,11; 32,4; Os 1-3; Mi 3,4). – 18 Cf. Dt 4,25; Lv 26,44; 1Re 8,46-50; 11,12; 2Re 22,16-20; Ne 9; Tb 13,6. – 19 Cf. Sl 28,1; Is 42,14; 62,1. – 20 Cf. Sap 2,10ss.